"Pochi sono grandi abbastanza da poter cambiare il corso della storia. Ma ciascuno di noi può cambiare una piccola parte delle cose, e con la somma di tutte quelle azioni verrà scritta la storia di questa generazione"
Robert Francis Kennedy

lunedì 30 marzo 2009

Sorprendente come i cittadini e i media accettino in massa le sue bugie

Berlusconi riesce sempre a cavarsela
Pubblicato sabato 28 marzo 2009 in Olanda [de Volkskrant]
Sorprendente come i cittadini e i media accettino in massa le sue bugie
Da corrispondente in Italia mi sento spesso come Keanu Reeves nel film The Matrix, o Jim Carrey nel Truman Show. È una sensazione spaventosa: vivere e lavorare in una democrazia dell’Europa Occidentale che fu tra i fondatori dell’Unione Europea e fa parte di prominenti forum internazionali come il G8, e ciò nonostante sentirsi come i personaggi che lottano in angosciosi film su illusione e realtà. Ma l’Italia di Silvio Berlusconi ne dà tutto il motivo. Quindici anni dopo l’ingresso di Berlusconi nella politica italiana, il paese si allontana sempre piú dai valori democratici essenziali. Neo (Reeves) e Truman Burbank (Carrey) in The Matrix e The Truman Show si rendono conto che il loro intero ambiente vive secondo la sceneggiatura di un regista onnipotente. Però non vedono la loro sorpresa e preoccupazione al riguardo riflessa in alcun modo nella reazione delle persone che li circondano; tutti si comportano esattamente come se non succedesse niente di strano, o semplicemente non se ne rendono conto. Chi cerca di seguire e di capire la politica e la società in Italia inevitabilmente avrà la stessa esperienza.
Corrotto
Il raffronto si è imposto all’attenzione molto chiaramente il mese scorso. Nel pomeriggio di martedì 17 febbraio è apparsa sui siti dei principali giornali italiani una notizia dal titolo: ‘David Mills è stato corrotto’: condannato a 4 anni e sei mesi. Riguardava una notizia esplosiva: il tribunale di Milano aveva riconosciuto l’avvocato britannico David Mills colpevole di corruzione per aver accettato 600 mila dollari da Silvio Berlusconi negli anni novanta, in cambio di rendere falsa testimonianza in due processi per corruzione istituiti contro l’imprenditore-politico. La sentenza contro Mills era altamente incriminante anche per il premier italiano dell’Italia, perchè se c’è un corrotto ci deve essere anche un corruttore.
Cose strane
Ma in Italia sono successe un paio di cose strane con questa notizia. Per iniziare diversi giornali hanno scritto la sentenza tra virgolette, come se si trattasse non di un fatto giuridico ma semplicemente di un’opinione personale da poter contestare con facilità. Ciò infatti è immediatamente successo. Nel sito web del Corriere della Sera, un giornale di riguardo in Italia, vari lettori hanno messo in dubbio la sentenza del tribunale milanese. “Perchè questa sentenza arriva giusto 24 ore dopo le elezioni in Sardegna?” si chiede uno di loro. Il partito di Berlusconi, Popolo delle della Libertà (PdL), aveva vinto quelle elezioni regionali con una schiacciante maggioranza; l’isola italiana è tornata dopo lungo tempo in mano della destra, cosa che ha provocato una grande euforia negli ambienti del PdL. I giudici hanno deliberatamente cercato di rovinare la festa con la loro sentenza, riteneva il lettore sopracitato. Un altro ha fatto un ulteriore passo in avanti. Quella “ennesima sentenza fatta per rovinare la festa”, avverte i giudici, “servirà solo a rafforzare il nostro premier e la sua coalizione, quindi soprattutto continuate così e sparirete automaticamente, ciao ciao”.
Di per se queste reazioni si potevano archiviare come rigurgiti emotivi di accaniti sostenitori di Berlusconi. Ma stranamente i media italiani gli hanno dato del tutto ragione. Mentre la notizia veniva esaminata a fondo su emittenti straniere come la CNN e la BBC, l’interessante notizia é stata data di striscio dai telegiornali italiani.
Su RaiUno e RaiDue l’argomento è stato incastrato a stento in un minuto verso la fine dell’edizione serale. Su due delle tre reti commerciali di Berlusconi la sentenza è stata completamente ignorata.
Sentenza
E sul canale che ha sì riferito la sentenza, il cronista ha ancora definito l’accertato episodio di corruzione un “supposto pagamento” fatto dalla ditta Fininvest di Berlusconi, e ha chiuso il suo mini servizio con una lunga citazione di un parlamentare del partito di Berlusconi, il quale diceva che il presidente del tribunale di Milano “è chiaramente antagonista della persona di Silvio Berlusconi dal punto di vista politico”. Come può succedere tutto ciò? Come si può negare e deformare così facilmente e massivamente la realtà? Da anni la stampa internazionale addita il gigantesco conflitto di interessi del premier. Tutti conoscono Silvio Berlusconi come il grande uomo dietro più di settanta aziende, raggruppate in mega holdings come la Mondadori (la principale casa editrice di giornali, libri e riviste in Italia), Mediaset (la più grande holding televisiva del paese), Mediolanum (servizi finanziari) e la squadra di calcio AC Milan. Groviglio di interessi Berlusconi controlla buona parte dei media italiani e viene perciò chiamato da molti giornali stranieri ‘imprenditore-politico’ o ‘premier-magnate dei media’. Ciononostante questi termini dicono troppo poco sul modo in cui questo groviglio d’interessi influisce sulla società italiana. In generale Berlusconi viene considerato l’uomo dalla parlantina facile e dal sorriso scolpito, il marpione rifatto con il brevetto sulle battute imbarazzanti (come quella su Barack Obama, che definì “giovane, bello e anche abbronzato”‘ un paio d’ore dopo l’elezione di quest’ultimo a presidente degli Stati Uniti). Come premier dell’Italia è perciò agli occhi di molti un buffone da non prendere troppo seriamente. Ma queste qualità da birbantello nascondono alla vista il suo illimitato potere e influenza che intaccano persino il DNA dell’Italia - e purtroppo non in senso positivo. Le sue emittenti commerciali, il suo settimanale d’opinione “Panorama”, il quotidiano “Il Giornale” (del fratello Paolo) e una lunga lista di giornali di famiglia, si schierano quotidianamente con il loro padrone senza vergogna. Questo servilismo raggiunge forme così elevate che il giornalista televisivo nonchè capo-redattore dell’emittente Rete4 può emozionarsi in diretta leggendo la notizia della vittoria elettorale di Berlusconi. Per la maggioranza degli italiani la televisione è la principale fonte di informazione, ed è quasi completamente sotto il controllo di fedelissimi di Berlusconi. Modi sgarbati Allo stesso tempo i membri dell’opposizione vengono buttati a terra in modo insolitamente sgarbato. Il più combattivo oppositore di Berlusconi, Antonio Di Pietro, da tempo viene chiamato ‘il boia’, o ‘il trebbiatore’ nel corso delle varie rubriche di attualità, che continuano a far vedere le sue foto meno lusinghiere, che immortalano il corpulento Di Pietro sul trattore, in pantaloncini corti. Questo bizzarro approccio ‘giornalistico’ non scaturisce da una specie di naturale lealta’ dei dipendenti, ma da precisi ordini di servizio. Il giornalista italo-americano Alexander Stille cita nella sua biografia di Berlusconi “Il sacco di Roma” (tradotta in olandese come “Silvio Berlusconi/De inname van Rome), un ex vice-caporedattore de “Il Giornale”, che spaziava su come Berlusconi dava ordini alla redazione negli anni novanta: “Dobbiamo cantare in armonia sui temi importanti per noi (…) Voi, caporedattori, dovete capire che dobbiamo iniziare un’offensiva mirata con tutti i nostri mezzi contro chiunque ci spari addosso. Se quelli che ci attaccano ingiustamente vengono puniti usando tutti i diversi media del nostro gruppo, l’aggressione finisce”.
RAI
Nel ruolo di premier, Silvio Berlusconi esige più o meno la stessa apatia dagli impiegati statali, soprattutto all’interno dell’emittente statale RAI. Durante il conflitto in Irak, che aveva l’appoggio del precedente governo Berlusconi, i giornalisti della RAI non potevano definire gli oppositori della guerra “dimostranti per la pace” o “pacifisti”, ma dovevano chiamarli “insubordinati”. ‘Sei un dipendente dello stato!’ gridò Berlusconi contro il critico giornalista televisivo Michele Santoro un paio d’anni fa durante una trasmissione televisiva, riportandolo all’ordine. Santoro voleva togliere la parola a Berlusconi, che era in linea telefonicamente, perchè questi rifiutava di rispondere alle domande del giornalista, e voleva solo criticare il modo di lavorare di Santoro.
Criminoso
Durante una conferenza stampa in Bulgaria Berlusconi accusò Santoro e due altri giornalisti di aver fatto un ‘uso criminoso della televisione pubblica’. I tre avevano osato fare una trasmissione critica sul premier. In quello che da allora è diventato famoso come ‘l’editto bulgaro’, il premier esigeva che la direzione dell’emittente ‘non permettesse più che accadessero certe cose’. Qualche mese dopo i tre erano spariti dallo schermo. L’Italia come paese democratico sta molto peggio di quanto molti credano. Ciò dimostrano le misure per la limitazione della libertà che questo governo sta prendendo o preparando (come la prigione per i giornalisti che pubblicano le intercettazioni telefoniche degli indiziati; pressione politica su medici e insegnanti per denunciare gli immigranti illegali alla polizia; limitazione dell’indipendenaza del potere giudiziario). Ma lo stato preoccupante delle cose si rivela soprattutto nel modo apatico in cui stampa e pubblico ultimamente reagiscono a questo genere di piani. L’Italia si abbandona sempre di più alla realtà altamente colorata con cui viene abbindolata dall’apparato di potere di Berlusconi.
Duramente
Certo, giornali e riviste di opinione come La Repubblica, l’Unità e l’Espresso continuano ad andare duramente contro il premier quando è necessario. Ma sono predicatori nel deserto: i due principali giornali italiani hanno insieme una tiratura di solo 1,3 milioni, su una popolazione di quasi 60 milioni. La televisione è per la stragrande maggioranza degli italiani la fonte di informazione principale, e ora è quasi tutta sotto monitoraggio di gente fidata di Berlusconi. Inoltre, anche i giornali al di fuori dell’impero di Berlusconi sentono il suo braccio forte. Come il giornale torinese La Stampa, proprietà della Fiat. ‘Vista la situazione in cui versa la Fiat, La Stampa non si trova nella posizione di esprimere critiche nei confronti di Berlusconi, e ciò è altrettanto valido per numerosi altri giornali’, cosí il caporedattore Giulio Anselmi a Stille nel Sacco di Roma. ‘Oltre ai giornali che possiede, c’é tutto un cerchio concentrico di giornali che dipendono direttamente o indirettamente da lui’.
Il guastafeste
Il leader dell’opposizione Antonio Di Pietro racconta nel suo libro Il guastafeste [in italiano con traduzione nel testo, ndt], come sia stato apostrofato “assassino’ da due ragazzi, mentre passeggiava in Piazza Duomo a Milano. Un tempo Di Pietro era l’eroe del paese per milioni di italiani, nella sua funzione di pubblico ministero dell’ampia operazione anti-corruzione Mani Pulite, che spazzò via un’intera generazione di politici e imprenditori imbroglioni all’inizio degli anni novanta. ‘Questo incidente’, dice Di Pietro a proposito dell’accaduto a Piazza Duomo a Milano, ‘dimostra che quei ragazzi a casa sono bombardati con falsa informazione dalla televisione’. Dopo un decennio e mezzo, questo moderno indottrinamento sta dando così tanti frutti che Berlusconi osa negare persino le più incontestabili verità.
Proteste
Per esempio, l’anno scorso durante la massale protesta studentesca contro i tagli pianificati nell’istruzione. Gli studenti avevano occupato facoltà di diverse università, con grande irritazione di Berlusconi. ‘Oggi darò al Ministro degli Interni istruzioni dettagliate su come intervenire usando le unità mobili’, disse il premier nel corso di una conferenza stampa. Quando l’opposizione gridò allo scandalo, Berlusconi il giorno dopo disse bellamente di non aver mai minacciato con le unità mobili. Ancora una volta era stato erroneamente citato dai giornalisti. Però tutti avevano potuto vedere e sentire che il premier l’aveva veramente detto; i suoi commenti erano stati trasmessi da radio e tv. Nonostante quella prova schiacciante Berlusconi si ostinò sulla sua posizione. E con successo. Giacchè cosa dissero la sera i telegiornali? ‘Il premier dice di essere stato citato erroneamente’.
Democrazia
In una democrazia sana i giornalisti in servizio avrebbero come minimo fatto velocemente rivedere le immagini della conferenza stampa in questione, così da permettere ai telespettatori di concludere da sè se il premier fosse rimbecillito o no. Ma no. ‘Eventualmente, potrete rivedere la nostra trasmissione di ieri su internet’, ha sussurrato il redattore politico di RaiUno alla fine del servizio. Considerando la situazione alla Matrix in cui versa l’Italia, il suo commento suonava quasi come un eroico atto di resistenza.
Eric Arends è il corrispondente del Volkskrant a Roma

domenica 29 marzo 2009

PERICLE Discorso agli Ateniesi 461 Avanti Cristo

Fatevi inebriare da queste parole, parole che scavalcano secoli e millenni, parole che ignorano la loro stessa età, cosa sono poi 2470 anni?, e continuano ad illuminare il giusto cammino. In un Presente che fugge da qualsiasi legge democratico-evoluzionista, che innalza a Comandanti i Berlusconi, i Gasparri, i Bocchino, i Quagliariello, c'è bisogno di Parole dettate da grandi Generali. Aspettando quella Rivoluzione Culturale che spazzerà via come un Maremoto il Marcio dell'Oggi, quella Rivoluzione Culturale che può partire solamente dal basso, solamente dalle nostre menti, ripeto ancora una volta: fatevi inebriare da queste Parole.
PERICLE
Discorso agli Ateniesi 461 Avanti Cristo:
Qui ad Atene noi facciamo così.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia
Qui ad Atene noi facciamo così
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti
nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana;
noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi
e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versastilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così."

Signornò

da l'Espresso
Manca poco al debutto dello show di Fiorello su Sky, previsto per il 1° aprile. E chi ha parlato con lui dopo il 22 gennaio, giorno della sua improvvisa e improvvida visita a Palazzo Grazioli, l’ha trovato piuttosto turbato. Molto meno sorridente di quanto era apparso ai cronisti entrando e uscendo dalla magione presidenziale. In quell’ora di colloquio con lo showman, presenti il sottosegretario Gianni Letta e il Guardasigilli Angelino Alfano, Silvio Berlusconi non si sarebbe limitato alle battute su Kakà e sulla celebre imitazione dello “smemorato di Cologno”. Ma avrebbe intimato a Rosario di non firmare il contratto con la società di Rupert Murdoch (cui il governo aveva appena raddoppiato l'Iva). Fiorello avrebbe bluffato, sostenendo di aver già firmato. Il premier però avrebbe ribattuto che era una bugia: “So per certo che non hai ancora messo la firma”. E aveva ragione lui. A quel punto - sempre secondo chi ha parlato con l’artista - il Cavaliere gli avrebbe ricordato che il suo passaggio a Sky è una strada senza ritorno. Come dire che l’artista e la sua squadra non lavoreranno mai più per Mediaset e per la Rai, prossima alla riberlusconizzazione: “Altro che smemorato di Cologno: io ho una memoria di ferro…”. Si tratta solo di indiscrezioni, impossibili da riscontrare con conferme ufficiali. A meno che, il 1° aprile, Fiorello non faccia uno scherzo al Cavaliere rivelando in diretta che cosa gli disse davvero due mesi fa. Ma poniamo che le voci siano infondate e che il premier si sia limitato all’innocente battuta riportata da Fiorello uscendo da Palazzo Grazioli (“Ma che vai a fare, passi al nemico?”). Bene, basta quel poco per domandare all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, meglio nota come Antitrust, che cosa aspetti a farci conoscere il suo illuminato parere sull’episodio. Chi volesse farsi quattro risate vada sul sito dell’Autorità e clicchi su “conflitto d’interessi”. Vi troverà riassunta la famosa legge Frattini: “La legge 20.7.2004, n.215 si propone di assicurare che i titolari di cariche di governo svolgano la loro attività nell’esclusivo interesse pubblico, prevenendo la formazione di conflitti di interessi”. La legge ne contempla quattro, e gli ultimi due sembrano fatti apposta per sanzionare il vertice Berlusconi-Fiorello:
“c) allorché un membro del governo adotti un atto o ometta un atto dovuto che incide sulla sua sfera patrimoniale… con danno all’interesse pubblico;
d) le condotte delle imprese che approfittino degli atti adottati in situazioni di conflitto di interessi”.
Se Fiorello avesse dato retta all’amorevole consiglio del premier, annullando il pre-accordo con Sky, Mediaset se ne sarebbe avvantaggiata eccome. E’ vero che esistono problemi più urgenti e che siamo ormai assuefatti al peggio. Ma, se Berlusconi riesce a violare persino le leggi che approva, sarà il caso di sbaraccare come enti inutili le cosiddette Autorità che dovrebbero farle rispettare. Altrimenti qualcuno potrebbe persino credere che esistano davvero.

sabato 28 marzo 2009

Cos’è un italiano (parte III)

di Andrea Camilleri
Il berlusconismo sta portando alla luce certi modi comportamentali che erano sì latenti nell’italiano, ma che un minimo di rispetto delle regole del vivere civile impediva di far venire a galla. Berlusconi è l’esempio vivente di come uno degli uomini più ricchi del mondo possa sempre farla franca davanti alla giustizia. Questa furbizia, questa abilità, agli occhi dell’italiano diventa un grandissimo merito, un pregio, una qualità rara. E perciò un esempio da seguire appena che se ne presenti l’occasione. Berlusconi è l’uomo che dichiara pubblicamente che le tasse non vanno pagate ove siano reputate, dal cittadino stesso, troppo elevate. E così la cifra dell’evasione fiscale, blandamente perseguita, ha raggiunto cime vertiginose. Berlusconi è colui che afferma di essersi fatto da sé, senza l’aiuto di nessuno. Il che non è affatto vero, ma è riuscito a farlo credere. Questo ha peggiorato il carattere individualista dell’italiano. Berlusconi, da autentico parvenu, ostenta la sua ricchezza, di ogni nuova sontuosa villa che acquista dà una sorta di comunicato ufficiale. Il messaggio sottinteso è che tutti possono diventare come lui. E infatti la corruzione nel nostro paese ha superato i limiti di guardia. Berlusconi fa eleggere tra i suoi senatori e deputati persone condannate per collusione con la mafia o per altri reati comuni sostenendo che così facendo li salva dalla «persecuzione dei giudici». Di conseguenza, il senso morale dell’italiano è diventato solo una pallida ombra. Berlusconi è l’uomo capace di telefonare a un alto funzionario Rai per raccomandargli un’attricetta amica di un senatore appartenente allo schieramento avverso disposto però a votare in suo favore se la ragazza avrà una parte. Nella stessa telefonata promette al funzionario che, quando questi se ne andrà dall’azienda mettendosi in proprio, egli è pronto ad aiutarlo. Berlusconi sostiene di avere ricevuto decine di ispezioni dalla guardia di finanza senza che mai venisse trovato nulla d’irregolare. Resta il fatto che un ufficiale a capo di un’ispezione dopo pochi mesi si dimise per passare al servizio di Berlusconi e quindi diventare deputato di Forza Italia. Come lo è diventato il generale comandante della guardia di finanza dopo essere stato costretto alle dimissioni per la sua condotta non certo lineare.
Berlusconi è un maestro nell’arte della «componenda», che in origine era un pactumsceleristra mafia, forze dell’ordine e potere politico perché ognuno traesse il proprio beneficio da una determinata circostanza. Un esempio recente di componenda può considerarsi la conduzione berlusconiana della partita Alitalia. Respinta la richiesta dell’Air France di comprare la compagnia di bandiera in nome dell’italianità, Berlusconi ha fatto acquistare la compagnia da una cordata italiana a prezzi di saldo, con un numero di esuberi assai superiore a quelli previsti nell’offerta Air France e scaricando milioni di debiti sul contribuente italiano. Ma ha infine «composto» anche con Air France consentendole di acquisire il 25% (per ora) delle azioni. Un detto popolare recita che il pesce comincia a puzzare dalla testa. Di conseguenza, oggi l’italiano spande un po’ di puzza attorno a sé. Come stupirsi dunque della gaffe statunitense successa quando, ai capi di governo che si recavano in Giappone, il Dipartimento di Stato distribuì un dépliant dove l’Italia era definita «un paese corrotto»? Di questo incidente la stampa e la tv accennarono solo di sfuggita. E parliamo d’informazione Non so in quale credibile statistica mondiale l’Italia compare agli ultimi posti per ciò che riguarda la qualità dell’informazione. Se vivessimo in un paese governato da una dittatura, questo sarebbe ovvio. Ma noi viviamo in un regime democratico, anche se sempre di più l’attuale governo punta sul sostantivo mettendo in ombra l’aggettivo. E infatti si parla già di una sostanziale modifica della costituzione che sbocchi in una Repubblica presidenziale. Qual è la situazione dell’informazione italiana? In mano all’attuale capo del governo c’è il gruppo che possiede le tre maggiori televisioni private. L’attuale capo del governo è proprietario di un quotidiano, Il Giornale e ne controlla altri, tra i quali Libero e Il Foglio. L’attuale capo del governo possiede numerosi settimanali illustrati. L’attuale capo del governo è proprietario della più grande casa editrice italiana, la Mondadori, la quale a sua volta è la maggiore azionista di altre case editrici, tra le quali la prestigiosa Einaudi. Inoltre, una delle tre reti televisive di Stato, la seconda, è assegnata al Pdl, il partito del capo del governo. In sostanza, il capo del governo ha il controllo diretto sulle tre televisioni di sua proprietà e il controllo indiretto su una rete Rai.
Ma la sua influenza arriva anche sulla prima rete di Stato: ricordiamoci che ha chiesto e ottenuto la testa di un grande giornalista italiano, Enzo Biagi, che proprio su quella rete esprimeva le sue opinioni. A nulla sono servite sentenze della Cassazione e richiami europei perché questo osceno conflitto d’interessi venisse risolto. Oltretutto, il conflitto d’interessi, a quanto pare, non interessa l’italiano. Non lo turba minimamente. Anche lui avrebbe agito così, se ne avesse avuto l’opportunità. Anzi, nel suo piccolo, spesso agisce così. C’è il pensionato che non dichiara il lavoro nero che fa, c’è l’impiegato che timbra il cartellino, esce dall’ufficio, e va a fare un secondo lavoro. Anche questo in nero. Se il capo del governo fa lo stesso di quello che fa lui, ma in grande, che male c’è? Ora si tenga presente che l’italiano è sostanzialmente un uomo incolto. In Italia si leggono pochissimi libri, da noi ci sono ancora circa due milioni di semianalfabeti e milioni di persone a malapena in grado di compitare. Dei giornali, l’italiano legge solo i titoli. E si vanta di essere capace di farsi un’opinione su tutto da quella sommaria lettura. Perché l’italiano è un uomo soprattutto presuntuoso. E saccente. Capace di tranciare giudizi sul restauro della Cappella Sistina senza averla mai vista. E senza avere mai in vita sua letto un libro su Michelangelo. Capace di dire la sua sul ponte dello Stretto di Messina senza essersi mai mosso da Vigevano, senza intendersene né di ingegneria né di economia. Capace di esprimere la sua profonda convinzione sul passante di Mestre senza avere mai messo fuori il naso da Catania e senza capirci niente dei problemi di viabilità. Le frasi che più frequentemente l’italiano usa sono: «Se fossi io il ministro delle Finanze…» oppure: «Se fossi io il capo del governo…» oppure: «Se fossi io il presidente della Repubblica…» oppure: «Se fossi io il papa…». E tutto questo senza contare che in Italia spesso e volentieri i titoli dei giornali dicono l’opposto del contenuto degli articoli. Quindi la televisione resta il vero, unico mezzo d’informazione. Un’informazione quasi sempre manipolata alla quale però l’italiano crede ciecamente.
Ma attenzione: di fronte allo strapotere dei mezzi d’informazione in mano al capo del governo, anche le reti televisive Rai, quelle diciamo così indipendenti e i quotidiani non di sua appartenenza, mostrano troppo spesso una certa cautela nell’informare su fatti che potrebbero spiacere al massimo detentore del potere politico e mediatico. Certi episodi vengono ignorati del tutto, altri presentati con opportuni accorgimenti che ne diminuiscano il probabile impatto negativo presso i telespettatori. Tra i quotidiani, c’è qualche lodevole eccezione come La Stampa e la Repubblica, ma, nella sostanza, esiste un solo giornale di netta opposizione, l’Unità, dal capo del governo visceralmente detestato. Il resto, salvo una o due voci dissonanti, è coro. Qualche parola in più circa l’effetto della televisione sull’italiano. Negli anni nei quali la Rai agì in regime di monopolio televisivo non si può in coscienza negare che essa ebbe una certa influenza sulla crescita culturale degli italiani. I dibattiti politici vedevano in genere un segretario di partito alle prese con una decina di giornalisti appartenenti a testate politicamente tra loro opposte i quali non risparmiavano domande imbarazzanti o provocatorie. Non c’era l’ossequio devoto al potere che oggi si trova espresso in trasmissioni tipo Porta a porta. I documentari che mostravano com’era l’Italia, anche se alcuni discutibili, erano sempre e comunque sceneggiati da scrittori e giornalisti d’alto livello e diretti da registi di rango o specializzati. I grandi romanzi sceneggiati, tratti per lo più da opere classiche, incoraggiavano alla lettura. L’appuntamento settimanale della prosa presentava testi d’impegno che spaziavano da Strindberg a Pirandello, da Ibsen a Sartre. Persino trasmissioni di varietà come Studio unoavevano gusto e raffinatezza oggi inconcepibili. La situazione mutò radicalmente con l’avvento delle tv private e soprattutto con l’unificazione operata da Berlusconi, sotto il mantello protettivo di Craxi, tra diverse emittenti che furono raggruppate in tre reti in diretta concorrenza con le tre reti della Rai. Le televisioni private possono vivere solo se sono supportate dalla pubblicità. Ora è chiaro che chi deve pubblicizzare un prodotto cerca il più gran numero possibile di ascoltatori. E il maggior numero di ascoltatori una tv privata l’ottiene non alzando la qualità culturale delle trasmissioni, che rischierebbe di farle diventare per pochi, ma operando in direzione opposta.
La Rai commise l’imperdonabile errore di adeguarsi ai sistemi delle tv private tagliando dal palinsesto i programmi di minore ascolto, come ad esempio la prosa, vale a dire eliminando le trasmissioni più culturalmente impegnative. Nel giro di una ventina d’anni il risultato innegabile è stato che la piattaforma culturale dell’italiano si è abbassata di tantissimo, se oggi possono imperversare trasmissioni come i reality show e le soap opera. L’italiano d’oggi è assai più ignorante dell’italiano di vent’anni fa. Con tutte le conseguenze immaginabili. Tra parentesi: la richiesta di spot pubblicitari sulle reti Mediaset è esponenzialmente aumentata rispetto alla Rai. L’italiano corre sempre in soccorso del vincitore, diceva Ennio Flaiano. Ma questo non è esatto, l’italiano non corre in soccorso di un vincitore chicchessia, sceglie accuratamente su quale carro trionfale saltare all’ultimo minuto. E la scelta è dettata quasi sempre da una precisa domanda: che cosa me ne viene in tasca? Insomma, nella decisione dell’accodarsi prevale sempre il particulare. Certo, quando Pirandello nel 1924, dopo il delitto Matteotti, prese la tessera del partito fascista, saltò sul carro di chi in quel momento era in grossa difficoltà. E lo stesso fece Giovanni Gentile quando tornò alla ribalta allorché la guerra mise il fascismo in crisi. Ma sono esempi rari e isolati. Diciamo che non fanno testo.Nessun italiano corse in aiuto di Ferruccio Parri, l’unico presidente del Consiglio azionista dell’Italia democratica, un galantuomo di ferrei princìpi morali e politici, antiretorico, per niente incline a chiedere simpatie. I qualunquisti di allora lo ribattezzarono «Fessuccio», mentre i fascisti risorti scrivevano sulle mura di Roma: «Aridatece er capoccione nostro». Nessun italiano è corso in aiuto di Prodi quando ha vinto le elezioni. Anzi, c’è stata una specie di concorde tiro al bersaglio di amici e nemici contro di lui. Ci fu addirittura un partito alleato che si dichiarò «di lotta e di governo». Vale a dire che teneva prudentemente il piede in due staffe. Anzitutto Prodi non era aiutato dall’aspetto fisico. Che per l’italiano conta moltissimo. Era un uomo piuttosto dimesso, che parlava a bassa voce e con una certa difficoltà. Somigliava molto a Parri.
Vuoi mettere col sorriso accattivante di Berlusconi e col suo eloquio torrenziale condito da barzellette e da citazioni della zia monaca? Andrebbe qui ricordato opportunamente che tra i motivi del consenso a Mussolini ce ne sono stati due non indifferenti: il suo modo di protendere la mascella e la sua oratoria tribunizia. All’italiano non importa capire a fondo il senso di ciò che gli viene detto da un balcone, da un palco, gli basta restare incantato dal suono delle parole. Lo diceva anche il grande Petrolini quando interpretava il personaggio di Nerone. E l’italiano crede alle promesse, anche quelle che si dimostrano irrealizzabili al lume del senso comune, che ogni politico venditore di fumo è pronto a elargirgli. Dentro di sé è convinto che quel politico non sarà mai in grado di realizzare tutto ciò che promette, ma è altrettanto convinto che se quel politico riuscirà a portare a compimento solo una parte di quello che ha promesso, lui personalmente ne riceverà grossi benefici. Prodi prometteva poche cose, Berlusconi un avvenire meraviglioso, una sorta di Eden dove si poteva commettere anche qualche peccatuccio senza timore d’incorrere nell’ira divina. Era inevitabile quindi che l’italiano corresse in soccorso di quest’ultimo. Un problema dei tempi recenti è rappresentato dal riaffiorare nell’italiano di atteggiamenti razzisti. Lo scrittore inglese Evelyn Waugh, che nel 1935 seguì la campagna d’Etiopia, un giorno vide dei nostri soldati che fianco a fianco con operai abissini sistemavano le traversine di una linea ferrovia. Ne dedusse che gli italiani non avevano uno spirito coloniale: infatti mai un soldato inglese si sarebbe messo a sudare assieme a un indiano, un afghano, un africano in un comune lavoro. Non aveva tutti i torti, la nostra politica coloniale ha sempre oscillato tra la repressione più feroce e il permissivismo più inconcludente. Del resto l’italiano non cantava: «Quando l’Africa si piglia/ si fa tutta una famiglia»? Dunque l’italiano non dovrebbe essere razzista. Invece lo è. Un’altra dimostrazione di coesistenza dei segni + e -? Nel 1938, al tempo della promulgazione delle leggi razziali contro gli ebrei, che costituirono il preludio allo sterminio, non ci fu nessuna reazione da parte dell’italiano che sostanzialmente era d’accordo col fascismo nel ritenere l’ebreo brutto, sporco e cattivo. E questo senza bisogno di leggere il Manifesto dei 10 o riviste come La difesa della razza. Certo, ci fu una minoranza che aiutò gli ebrei in tutti i modi possibili per salvarli dalla persecuzione, ma è innegabile che la stragrande maggioranza non mosse un dito. Anzi, furono in tanti a impadronirsi delle loro proprietà e dei loro commerci. Poi, nel dopoguerra, il razzismo venne sepolto nella dimenticanza. Tra l’altro, i firmatari dell’ignobile Manifesto dei 10, dopo un brevissimo periodo d’eclissi, tornarono alle loro cattedre universitarie. Il razzismo è risorto, virulento, in tempi recenti, aizzato tanto dalla Lega quanto dalle frange estreme dei movimenti di destra. E supportato dal silenzio, al riguardo, di Berlusconi e dei suoi.
Mentre Fini proclama, ed è sincero, che le leggi razziali sono state il male assoluto, alcuni suoi seguaci dicono di non essere d’accordo con le sue dichiarazioni. Nel Nord imperversano personaggi, come l’eurodeputato leghista Borghezio, che incitano all’odio razziale, ma anche a Napoli si buttano le molotov contro i campi nomadi. Oggi l’italiano, in questo finalmente concorde, è convinto che in ogni moschea s’annidi un covo di pericolosi terroristi, che i romeni siano tutti malavitosi, che gli stupratori siano sempre di colore. Resta un pochino deluso quando poi si scopre che ad uccidere, a rubare, a violentare sono stati degli italiani. E si è arrivati all’abiezione, non si può definire diversamente, di voler prendere le impronte digitali ai bambini rom. Oggi come oggi il volto dell’italiano non è gradevole da guardare. L’ideale del motorino Lo stato attuale delle cose è la prevalenza dell’ideale del motorino. Per capire ciò che intendo dire basterà guardare la circolazione stradale in una qualsiasi grande città italiana in un’ora di punta. Mentre, bene o male, anche per la presenza dei vigili urbani, le automobili rispettano le regole, si fermano col semaforo rosso, non fanno inversioni di marcia a U, non prendono i sensi vietati, i motorini dilaganti non rispettano nessuna regola. Salgono sui marciapiedi, passano col rosso, procedono contro mano, svoltano dove non dovrebbero, s’incuneano tra auto e auto, non tengono conto delle strisce pedonali. Il loro percorso insomma è un’infrazione continua. A loro è concesso ogni arbitrio. Anche i vigili urbani fanno finta di niente, chiudono tutti e due gli occhi. Ecco, forse l’ideale dell’italiano di oggi è essere un motorino. (fine)

Cos’è un italiano (parte II)

di Andrea Camilleri Le particelle di Majorana
Quasi sempre, nella sua lunga storia, l’italiano ha dimostrato di essere esattamente come le particelle di Majorana. Il grande fisico teorico, misteriosamente scomparso nel 1938, elaborò un’ipotesi rivoluzionaria secondo la quale, adopero le parole del fisico Andrea Vacchi, «il partner di antimateria di alcune particelle siano loro stesse». Come dire che non la coesistenza, ma l’inscindibile fusione degli opposti costituisce l’identità. C’è uno splendido racconto di Borges nel quale un eretico e un custode della fede a lungo e ferocemente si contrappongono. Quando l’eretico infine brucia sul rogo, il suo volto, per un attimo, si rivela essere quello stesso del custode della fede che l’ha fatto condannare a quell’atroce morte. Non le due facce di una stessa medaglia dunque, ma una medaglia che ha nel recto e nel verso la medesima immagine. Lo stesso soldato italiano che, diciannovenne, a Caporetto scelse di non combattere, lo ritrovi poco più che quarantenne a El Alamein che si batte sino alla morte. E non certo per ragioni, come dire, equivalenti: nel primo caso infatti si trattava di difendere il territorio italiano, nel secondo di mantenere una postazione italiana in territorio straniero. Lo stesso italiano che divenne emigrante e che venne aiutato in terra straniera da coloro che l’ospitavano, col fornirgli lavoro e abitazione, oggi mal sopporta che in Italia ci sia gente pronta ad accogliere gli extracomunitari. Lo stesso italiano che amò intensamente Mussolini, che l’applaudì freneticamente a Milano, pochi giorni dopo l’appese per i piedi al distributore di benzina di piazzale Loreto, sempre a Milano. Lo stesso italiano che una volta stentava a campare in Friuli e mandava la moglie a far la cameriera a Roma o altrove oggi disprezza la cameriera venuta dal Sud. Più banalmente: lo stesso italiano che divorzia dalla moglie, e che vive con l’amante dalla quale ha avuto due figli, partecipa compunto a una dimostrazione contro il divorzio e firma contro i dico. Ma di fronte al duplice comportamento dell’italiano nei riguardi dei dettami della Chiesa si potrebbe scrivere un trattato piuttosto voluminoso. Gli esempi potrebbero continuare a centinaia. Nell’italiano, dentro la medesima persona, possono insomma convivere contemporaneamente Galileo Galilei e Giordano Bruno, Tommaso Campanella e padre Bresciani, don Abbondio e Savonarola. L’italiano è ritenuto all’estero persona inaffidabile in quanto spesso non mantiene la parola data o non porta a termine l’impegno preso.
E gli stranieri fanno l’esempio della nostra politica estera, capace dall’oggi al domani di mutare radicalmente corso e indirizzo e di far diventare gli alleati di ieri i nemici di oggi. Per esempio, questo avvenne prima della guerra ’15-’18, lo stesso è avvenuto verso la fine della guerra ’40-’45. Non si tratta di scarsa serietà, a mio avviso, ma del fatto che nel momento in cui dava la sua parola d’onore, in quell’italiano, e in quel preciso momento, aveva la prevalenza il segno +, ma il suo opposto, il segno –, era pur sempre contestualmente presente e pronto a farsi avanti. C’è nel film Il Terzo uomo un’esemplare battuta del personaggio interpretato da Orson Welles (ma il regista dichiarò che a scriverla era stato lo stesso Welles) dove viene detto che il Rinascimento in Italia ebbe origine proprio nel periodo più acuto delle guerre fratricide, dei tradimenti, degli assassini. Mentre dalla lunga, tranquilla, secolare pace degli svizzeri non è nato che l’orologio a cucù. Questo paradossale segno di contraddizione non solo è riscontrabile con uno sguardo panoramico, ma lo si può continuare a vedere, zoommando lentamente, anche dentro un paese rinascimentale, dentro una via rinascimentale, dentro una casa rinascimentale, dentro un appartamento rinascimentale, dentro un italiano rinascimentale. E, naturalmente, anche dentro un italiano d’oggi.
La memoria corta
Quella parte del cervello che ha il compito d’archiviare la nostra vita nel suo insieme (non solo i fatti accaduti nel corso dell’esistenza, ma anche le letture che abbiamo fatto, gli spettacoli visti, i concerti ai quali abbiamo assistito, le mostre alle quali siamo andati) possiede, nell’italiano, una sorta di deleteautomatico che entra in azione assai presto, consentendo una scarsissima autonomia alla memoria. Fatti sgradevoli già ripetutamente accaduti nel corso degli anni, quando si ripresentano, all’italiano sembrano sempre nuovi. «Non si è mai vista un’inondazione simile a Roma!».
Poi si va a guardare nelle facciate dei palazzi romani e si scopre che alcune lapidi ci mostrano che l’acqua nel Seicento o nel Settecento raggiunse livelli di gran lunga superiori a quelli attuali. È un esempio banale, lo so. Ma mi pare che sia stato T.S. Eliot a dire che l’inferno consiste nella memoria, ai dannati viene fatto ricordare tutto, persino quanto costava un etto di margarina nel 1928. Se l’inferno fosse veramente la memoria, l’italiano andrebbe direttamente in paradiso. Di un evento che l’ha appassionato, soprattutto perché strombazzato dai giornali e dalle televisioni, l’italiano ne conserva il ricordo solo per qualche settimana, al massimo per qualche mese. A meno che non si tratti di cronaca nera, allora la persistenza mnemonica è assai più lunga. Ma per una ragione semplicissima e cioè che gli italiani immediatamente si dividono in due partiti ferocemente contrapposti: gli innocentisti e i colpevolisti. Senza la minima cognizione delle carte processuali, senza essere a conoscenza dei dettagli dell’indagine, decidono a primo acchito se l’accusato è innocente o colpevole. A pelle. Al solo guardarlo. L’innocentista, sia detto per inciso, resterà fermamente ancorato alla propria convinzione anche quando i giudici della Cassazione, di fronte a prove schiaccianti, avranno condannato all’ergastolo il colpevole. A proposito di giudici e di giustizia. Essendo siciliano, citerò alcuni modi di dire della mia terra. Cu havi dinari e amicizia / teni ’n culu la giustizia. (Chi ha denari e amici / se ne può fregare della giustizia.) Fari la giustizia a manicu di mola. (Far giustizia in modo storto.) Judici, presidenti e avvucati / ’n Paradisu nun ne attrovati. (Giudici, presidenti e avvocati / in Paradiso non ne troverete.) La furca è pi lo poviru, la giustizia pi lu fissa. (La forca è per il povero, la giustizia per il fesso.) La liggi per l’amici s’interpreta, pi l’autri s’applica. (La legge per gli amici s’interpreta, per tutti gli altri s’applica.) Lu codici è fattu da li cappeddri pi ghiri ’n culo a li coppuli. (Il codice è fatto dai signori per andare in culo ai berretti.) Potrei continuare a lungo. La sfiducia nella giustizia è totale, basandosi sulla convinzione diffusa che essa sia uno strumento dei ricchi (che non incappano mai nelle sue maglie) usato contro i poveri. Una giustizia di classe. E credo che in ogni regione del Sud d’Italia ci siano modi di dire similari. Colpa dell’amministrazione della giustizia borbonica, m’è capitato di leggere da qualche parte. Le cose non stanno così: se la giustizia borbonica non fu un modello, quella italiana postunitaria non migliorò per niente la situazione, a volte la peggiorò. L’inchiesta Franchetti-Sonnino del 1876 è in proposito assai esplicita.
Scriveva Pirandello su quegli anni ne I vecchi e i giovani: «Povera Isola, trattata come terra di conquista! (…) e i tribunali militari, e i furti, gli assassinii, le grassazioni, orditi ed eseguiti dalla nuova polizia in nome del Real Governo, e falsificazioni e sottrazioni di documenti e processi politici ignominiosi: tutto il primo governo della Destra parlamentare! E poi era venuta la Sinistra al potere, e aveva cominciato anch’essa con provvedimenti eccezionali per la Sicilia; e usurpazioni e truffe e concussioni e favori scandalosi e scandaloso sperpero del denaro pubblico; prefetti, delegati, magistrati messi al servizio dei deputati ministeriali (…) l’oppressione dei vinti e dei lavoratori, assistita e protetta dalla legge, e assicurata l’impunità agli oppressori…». Questo divario sull’amministrazione della giustizia al Sud e al Nord, salvo la parentesi fascista, continuò anche dopo la Liberazione, con la magistratura del Sud completamente asservita al potere, cioè alla Dc. Si deve ad alcuni eroici magistrati siciliani in prima linea nella lotta contro la mafia, e che ci lasciarono la vita, il risveglio della solidarietà dei cittadini verso la giustizia. Ma il punto massimo del consenso si verificò al tempo di Mani Pulite, quando la magistratura milanese fece piazza pulita della corruzione partitica e, praticamente, spazzò via la Prima Repubblica. Dalle ceneri di essa nacque inopinatamente un affarista milanese che seppe trasformarsi in uomo politico. Aveva molti conti aperti con la giustizia. E quindi, appena arrivato al potere, si è dedicato anima e corpo alla distruzione del sistema giudiziario, con continue leggi ad personam e addirittura arrivando ad affermare che i giudici sono esseri mentalmente tarati. È singolare come, in un’occasione, abbia usato contro i giudici le stesse parole adoperate dal gran capo mafioso Totò Riina. Ad ogni modo, dato il larghissimo seguito di cui dispone, ha abolito il divario tra Sud e Nord: l’italiano di Palermo e quello di Bergamo ora sono felicemente concordi nella sfiducia totale verso la giustizia. L’italiano che ha preso una multa per sosta vietata, oggi si sente autorizzato a dichiararsi vittima della giustizia.
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martedì 24 marzo 2009

Lettera Europe2020 al G20 2 Aprile 2009 Londra

Hanno la sfera magica?
O semplicemente guardano negli occhi i nudi fatti e ne traggono le inevitabili conclusioni, invece di leggere i giornali allineati?
Sono gli uomini del gruppo Europe2020, che intorno al 15 di ogni mese pubblicano uno dei migliori report di geopolitica del mondo.
Da due anni a questa parte il gruppo Europe2020 ha messo a segno previsioni socioeconomiche molto accurate, il che gli ha conferito grande credibilità - anche ai nostri occhi caprini...!Fu Europe2020 a prevedere con largo anticipo le convergenti crisi sociali, politiche, monetarie, economiche e finanziarie che sarebbero esplose nel settembre 2008, più tutto un rosario di avvenimenti che oggi non si possono che constatare.
Pubblicata questa mattina sul Financial Times la lettera di LEAP/Europe2020 ai leader del G20 come anticipato nei post precedenti.Il messaggio del gruppo è chiaro: questa è l'ultima possibilità che la Storia sta concedendo all'attuale sistema internazionale. O si prendono decisioni concrete subito, e si avviano entro l'estate, o sarà dissesto geopolitico globale.Questa è la nostra traduzione dall'originale inglese che trovate sul financial times di oggi, edizione globale, oppure sul sito di LEAP/Europe2020.
Ci limitiamo a tradurre la lettera per i nostri lettori, senza condividerla nè disconoscerla (noterete infatti alcuni richiami ad un nuovo ordine monetario globale), senza giudicarla ma prendendola per quello che è: un ultimo campanello di allarme per i leader del vecchio mondo.
Vi invitiamo a leggerla allo stesso modo, senza giudicare, senza necessariamente condividerla in pieno o rifiutarla in pieno.Ognuno poi tragga le sue conclusioni.
Dunque, la parola a Franck Biancheri, Director of studies, LEAP/E2020:Lettera di LEAP/Europe2020 al G20 del 2 Aprile 2009 di Londra
Signore e signori,
Il vostro prossimo summit avrà luogo tra pochi giorni a Londra; ma siete consapevoli che avete meno di un semestre per evitare che il mondo cada in una crisi che richiederà almeno un decennio per risolversi, accompagnata da una intera serie di tragedie e fermenti? Di conseguenza, questa lettera aperta di LEAP/Europe2020, che vide l’arrivo di una “Crisi sistemica globale” ben tre anni fa, ha lo scopo di spiegare brevemente cosa e’ accaduto e come limitare ulteriori danni.Se avete iniziato a sospettare l’alba di una crisi consistente meno di un anno fa, LEAP/Europe2020, nel secondo numero del « Global Europe Anticipation Bulletin » (GEAB N°2), aveva anticipato che il mondo stava per entrare nella “fase di attivazione” di una crisi di proporzioni storiche. Da allora, mese dopo mese, LEAP/Europe2020 ha continuato a produrre previsioni altamente accurate sullo sviluppo di questa crisi con la quale il mondo sta combattendo oggi. Per questa ragione, ci sentiamo obbligati a scrivervi questa lettera aperta che speriamo vi aiuterà nelle scelte che dovrete prendere tra pochi giorni.La crisi sta diventando sempre più pericolosa.
Recentemente, nella 32esima edizione del Report, LEAP/Europe2020 ha sollevato un allarme di diretta rilevanza per voi, i leader del G20. Se, incontrandovi a Londra il prossimo 2 Aprile, non sarete in grado di adottare un insieme di decisioni concrete e innovative, focalizzate sui punti e sui problemi essenziali, ed avviale entro l’estate del 2009, la crisi entrerà nella fase del dissesto geopolitico globale entro la fine dell’anno, con conseguenze sul sistema internazionale e sulla stessa struttura delle organizzazioni politiche più grandi come USA, Russia, Cina ed UE. Dopo, ogni vostra possibilità di controllare il destino di 6 miliardi di cittadini del mondo sarà finita.La vostra scelta: una crisi lunga 3-5 anni o una crisi lunga almeno-un-decennio? (approfondimento) Fino ad oggi vi siete semplicemente occupati dei sintomi e degli effetti secondari di questa crisi perchè, sfortunatamente, niente vi ha preparati a fronteggiare una crisi di questa portata storica. Avete pensato che aggiungere altro (petr)olio* al motore globale sarebbe stato sufficiente, inconsapevoli del fatto che il motore era rotto, mentre il sistema internazionale si deteriora ulteriormente ogni mese.Nel caso di una grave crisi, bisogna andare al cuore della questione. L’unica scelta è tra intraprendere un insieme di cambiamenti radicali, che accorcino notevolmente la durata della crisi e diminuscano le sue tragiche conseguenze, oppure, al contrario, rifiutare di fare alcun cambiamento in un tentativo di salvare cio’ che resta dell’attuale sistema, prolungando la durata della crisi ed incrementando tutte le conseguenze negative. A Londra, il prossimo 2 Aprile, potete aprire la strada alla risoluzione della crisi in modo organico in 3-5 anni, oppure trascinare il mondo in un terribile decennio.Ci limitiamo a darvi tre raccomandazioni che consideriamo strategiche nel senso che, secondo LEAP/E2020, se non saranno avviate entro l’estate del 2009, il dissesto deopolitico globale diventerà inevitabile dalla fine di quest’anno in poi.
Tre raccomandazioni strategiche di LEAP:
1. La chiave nella risoluzione del problema sta nella creazione di una nuova moneta di riserva internazionale!La prima raccomandazione è un’idea molto semplice: riformare il sistema monetario internazionale post seconda guerra mondiale e creare una nuova moneta di riserva internazionale. Il dollaro americano e l’economia non sono più in grado di sostenere l’attuale ordine economico, finanziario e monetario globale. Finchè questo problema strategico non viene affrontato e risolto direttamente, la crisi crescerà . E’ infatti il cuore della crisi dei prodotti finanziari derivati, banche, prezzi dell’energia... e (il cuore) delle conseguenze in termini di disoccupazione di massa e della caduta degli standard di vita. E’ dunque di vitale importanza che questo punto sia l’argomento principale del summit del G20, e che i primi passi verso una soluzione vengano avviati. In effetti, la soluzione a questo problema è ben nota, e consiste nel creare una moneta di riserva internazionale (che potrebbe essere chiamata il “Global”) basata su un paniere di monete corrispondenti alle più grandi economie, ovvero dollaro, Euro, Yen, Yuan, Khaleeji (moneta comune degli stati del Golfo produttori di petrolio, che partirà a Gennaio 2010), Rublo, Real..., gestito da un “Istituto Monetario Mondiale” il cui consiglio di amministrazione rifletterà il peso relativo delle economie le cui valute compongono il Global.Dovete chiedere al fmi** e alle banche centrali coinvolte di preparare questo piano per Giugno 2009, con la data di implementazione al 1 Gennaio 2010. Questo è il solo modo che avete di ripristinare il controllo sugli eventi attuali in corso, e questo è il solo modo per voi di sviluppare una gestione globale, basata su una valluta condiviso al centro dell’attività economica e finanziaria. Secondo LEAP/Europe2020, se questa alternativa all’attuale sistema monetario in crollo non sarà avviata entro l’estate del 2009, dimostrando che esiste una soluzione alternativa all’approccio “ognun per sè”, il sistema internazionale di oggi non sopravviverà all’estate.Se alcuni degli stati del G20 pensano che è meglio mantenere i privilegi collegati allo “status quo” più possible, dovrebbero meditare il fatto che, se oggi possono ancora influenzare in modo significativo la forma future del nuovo sistema monetario globale, una volta che la fase del dissesto geopolitico globale sarà avviata, perderanno ogni capacità di farlo.
2. Preparare schemi di controllo delle banche prima possible!La seconda raccomandazione è già stata menzionata molte volte nei dibattiti preliminari del vostro prossimo summit. Dovrebbe quindi essere facile da adottare. Riguarda la creazione, entro la fine dell’anno, di uno schema di controllo bancario su scala globale, che sopprima gli attuali “buchi neri”. Un insieme di opzioni sono già state suggerite da vostri esperti. Decidetevi ora: nazionalizzate le istituzioni finanziarie non appena necessario! E’ la sola via per prevenire nuovi episodi di massiccio indebitamento da parte loro (il tipo di episodi che hanno contribuito significativamente alla crisi attuale) e mostrare all’opinione pubblica che avete qualche credibilità nel contrattare con i banchieri.
3. Fate in modo che il FMI valluti i sistemi finanziari USA, UK e svizzero!La terza raccomandazione si riferisce ad un argomento politicamente sensibile, che non puo’ essere ignorato. E’ essenziale che, non oltre Luglio 2009, il fmi presenti al G20 una valutazione indipendente dei tre sistemi finanziari nazionali al cuore della attuale crisi finanziaria: USA, UK e Svizzera. Nessuna raccomandazione puo’ essere efficacemente implementata finchè nessuno ha una comprensione chiara dei danni causati dalla crisi nelle tre colonne del sistema finanziario globale. Non è più il tempo di essere educati con le nazioni che si trovano al centro dell’attuale caos finanziario.
Scrivete una dichiarazione finale semplice e breve!
Infine, cortesemente consentiteci di ricordarvi che il vostro scopo è di riportare la fiducia a 6 miliardi di persone, e, tra loro, milioni di organizzazioni pubbliche e private. Di conseguenza, non dimenticate di scrivere una breve dichiarazione – non più di 2 pagine, che presenti un massimo di 3-4 idee che i non esperti possano leggere e comprendere. Se mancherete di farlo, nessuno leggerà quello che avete da dire tranne un ristretto grupo di specialisti, e di conseguenza non ravviverete la fiducia nell’opinione pubblica e la crisi sarà destinata a peggiorare.Se questa lettera aperta vi aiuta a comprendere che la Storia vi giudicherà in funzione del successo o del fallimento di questo Summit, allora sarà stata utile. Secondo LEAP/Europe2020, i vostri cittadini non aspetteranno più di un anno prima di giudicarvi.Questa volta, almeno, non potrete dire che nessuno vi ha avvertiti!
Franck Biancheri
Director of studies of LEAP/E2020,
www.leap2020.euPresident of Newropeans,

giovedì 19 marzo 2009

La democrazia in un taxi

Osservate con quale sarcasmo parlano dell’Italia i giornali esteri…
Pubblicato venerdì 13 marzo 2009 in Spagna
[El Mercurio Digital]
L’eminente statista italiano di nome Silvio Berlusconi, conosciuto anche con l’appellativo de il Cavaliere (in italiano nel testo, N.d.T.), ha appena generato, nella sua mente superiore, un’idea che lo colloca definitivamente alla testa della categoria dei grandi pensatori politici. Per ovviare ai lunghi, monotoni e tediosi dibattiti e per sveltire i lavori di Camera e Senato, pretende che siano i capigruppo parlamentari ad esercitare il potere di rappresentanza, ponendo fine, nello stesso tempo, al peso morto di alcune centinaia di deputati e senatori che, nella maggior parte dei casi, non aprono bocca per tutta la durata della legislatura, salvo che per sbadigliare. A me, devo ammetterlo, sembra giusto. I rappresentanti dei partiti maggiori, diciamo, tre o quattro, si riuniranno in un taxi diretto in un ristorante dove, attorno ad una tavola imbandita, prenderanno le decisioni appropriate. Dietro di loro si porteranno, però viaggiando in bicicletta, i rappresentanti dei partiti minori, i quali mangeranno al banco, se c’è o in bar vicino. Niente di più democratico. Durante il viaggio potrebbero cominciare a pensare di eliminare questi imponenti, arroganti e pretenziosi edifici denominati camera e senato, fonti di continue discussioni e di elevati sprechi che non giovano al popolo. Di riduzione in riduzione, suppongo che arriveremo all’agorà dei greci. Chiaro, con l’agorà, ma senza i greci. Mi diranno che non si deve prendere sul serio questo Cavaliere. Si, però il pericolo è quello di non prendere sul serio neanche coloro che lo votano. [Articolo originale di José Saramago]

martedì 17 marzo 2009

Vivere in modo diverso. Si può?

L'International Herald Tribune del 12 marzo riporta la storia di una famiglia costretta a vivere in un motel, dalle parti di Denver. E ovviamente la storia ha carattere paradigmatico di una situazione più diffusa e in ulteriore crescita. Brevemente: uno dei due coniugi ha perso il lavoro e dunque la casa. E la famiglia, con quattro figli, si trova in una situazione molto vicina a quella degli homeless veri e propri. Contando su un solo stipendio il massimo che possono permettersi è di vivere in una camera di motel, facendo rotazione per l'utilizzo dei letti. I particolari sono molto tristi. E non sono peraltro il punto centrale della nostra riflessione. La cosa più importante è relativa al grado di stabilità, e dunque sicurezza nel futuro, del nostro sistema di sviluppo. Beninteso, negli Stati Uniti, proprio alla base, c'è una vita fondata sul debito e sulla scommessa monetaria. Risparmi, pensioni e assicurazioni sono del tutto basati sulla crescita infinita. Facile capire che siano i primi a pagare le conseguenze, e in questi modi, dell'erroneità del sistema stesso arrivato oggi alle sue fasi terminali. Eppure la riflessione più utile oggi è chiedersi cosa è, dal punto di vista materiale e spirituale, a essere in grado di non rappresentare un pensiero ansioso per il nostro futuro. Facendo un rapido screening della propria vita. Il discorso è molto semplice. Da una parte c'è chi crede ancora che il sistema, in tal modo, oppure in forme differenti ma con gli stessi principi di base, possa salvarsi. L'economia riprendere, in qualche modo, e dopo un periodo di incertezze ricominciare a vivere (o a sopravvivere) grossomodo come lo si è fatto negli ultimi decenni. Dall'altra parte c'è invece chi ha messo a fuoco il fatto che è il sistema a essere sbagliato, e non solo le sue regole. E che ciò che sta accadendo era inevitabile ed è, soprattutto, irreversibile. E pertanto - logica vuole - inizia a pensare al "dopo". A un modo di vita diverso. Questi ultimi vivono dunque il momento attuale come un processo prevedibile e non reversibile, sanno che non potrà che peggiorare e, se hanno la capacità di seguire la propria logica, dovrebbero iniziare a domandarsi cosa fare dopo. Ora, la domanda da porsi personalmente è: come sopravvivere? Salvando cosa? Se si perdesse il lavoro oggi, cosa si potrebbe fare (e cosa si potrebbe eliminare)? Riusciamo a immaginarci in un mondo differente? Cosa faremmo? Beninteso, le domande non sono retoriche. Si tratta di anticipare, se possibile, una strategia. Per non farsi cogliere impreparati, almeno concettualmente. E ipotizzare delle azioni vere e proprie, anche radicali, per attraversare il guado verso un nuovo modo di stare al mondo. Brutalmente: chi è convinto che lo stato delle cose non può che peggiorare, ha iniziato a ipotizzare un modo diverso per vivere?

"Il Giornale" ovvero:cambiare il senso alle cose!

A volte basta davvero poco per .A volte basta solo levare… che so… tre parole, e tutto diventa più semplice.Mercoledì ILGiornale è uscito con un pezzo interessante dal titolo “Internet, Rivolta anti-Obama”, firmato Matteo Buffolo.Secondo Buffolo (o Truffolo?) , il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, durante un’intervista al New York Times, si sarebbe espresso sui blog dicendo che: «Sono fuorvianti e semplicistici, li leggo molto raramente».Un’accusa, pare, che i Blogger non hanno preso per niente bene, sempre secondo Buffolo.Solito controllino sui vari riferimenti e…ops... niente di tutto ciò.La chiacchierata, secondo il NYT a un certo punto è andata così:Question: «And television? Do you watch? Web sites?»Answer: «I don’t watch much television, I confess».Q.: «And Web sites?»Q.: «No blogs?»A.: «I rarely read blogs».Tradotto:Domanda: «E la TV? Lei guarda la TV? I siti Web? »Risposta: «Non guardo molta tv, lo confesso»D.: «E siti Web? »D.: «nessun Blog? »R.: «Raramente leggo i blog»Quindi niente…qui nessun segnale di blog fuorvianti e semplicistici. Ma andiamo avanti.A un certo punto il giornalista domanda:« Has anybody said to you, No, sir, you can’t do that? Has there been a moment in these last six weeks where you tried to do something and somebody said, Sorry, sir, it doesn’t work that way?». (Traduzione: qualcuno le ha mai detto, No, signore, le non può farlo? C’è stato un momento in questi ultimi 6 settimane in cui ha provato a fare qualcosa e qualcuno le ha detto, signore non funzionano così le cose?)E Obama, dopo un discorso su Guantanamo e sul modo in cui prende le decisioni, risponde:«And part of the reason we don’t spend a lot of time looking at blogs is because if you haven’t looked at it very carefully then you may be under the impression that somehow there’s a clean answer one way or another – well, you just nationalize all the banks, or you just leave them alone and they’ll be fine, or this or that or the other. The truth is this is a very complex set of problems and bad decisions can result in huge taxpayer expenditures and poor results». (Traduzione: una parte dei motivi per i quali noi non ci occupiamo per troppo tempo dei blog è perché se non li controlli con la dovuta attenzione, potresti avere l’impressione che ci sia una soluzione semplice da una parte o dall’altra – nazionalizzare tutte le banche, o lasciarle da sole e saranno a posto. La verità è che questi sono una serie di problemi complessi e una cattiva decisione può rivelarsi una spesa enorme in tasse e risultati pessimi.)Nulla nemmeno qui. E allora cos’è successo?A un certo punto Buffolo cita Jeremy Gantz su The Raw Story, che dice nelle sue primissime righe “Although he owes his current job in part to the Internet's unique networking and communications tools – and his campaign's unprecedented ability to raise money online – President Obama "rarely" reads blogs because he considers some of them misleading and simplistic”.Che vuol dire “per quanto debba il suo corrente lavoro in parte all’unicità dei mezzi di comunicazione di internet e -può anche ringraziare la raccolta fondi on line per la sua campagna- il Presidente Obama "raramente" leggi i blogs perché ne considera alcuni fuorvianti e semplicistici.Eccoci qui! Ecco dove il Presidente Obama dice che i Blog sono fuorvianti e semplicisti! Ma? che strano…questo è quello che ha scritto Gantz non Obama, quindi Buffolo ha fatto la sintesi della sintesi, oltretutto epurandola di tre fondamentali parole: some of them.È stato Gantz a scriverlo e non Obama a dirlo.Ah quanto poco ci vuole a cambiare il senso delle cose.

mercoledì 11 marzo 2009

Ponte sullo stretto, una nuova cattedrale nel deserto

Un immagine dello stretto con o senza ponte
da /www.terranauta.it
Il governo ha deciso: riprende lo spreco di miliardi di euro che ancora una volta verrano gettati giù dal ponte sullo stretto. Una volta ultimato, se mai lo sarà, potremo osservare una vera e propria cattedrale nel deserto. Nel frattempo i 6 miliardi previsti sono destinati a raddoppiare. E il sud continua a restare privo di infrastruttire stradali e ferroviarie. Come un chewing gum masticato per troppo tempo ed ormai privo di gusto, anche il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, sembrava potere ambire come unica destinazione al cestino della spazzatura. Durante il biennio del Governo Prodi il controverso progetto del Ponte che fin dal momento del suo concepimento aveva finito per dividere anziché unire gli italiani, pareva infatti destinato definitivamente ad obliare nel novero delle opere ciclopiche che mai sarebbero state cantierizzate. Il tutto dopo 40 anni di chiacchiere e ipotesi assai fantasiose, costate al contribuente italiano oltre 160 milioni di euro, sotto forma di consulenze e stipendi dispensati a pioggia. Il governo Berlusconi, nell’ambito del pacchetto di finanziamento del valore di quasi 18 miliardi di euro dedicato alle grandi infrastrutture e varato lo scorso 6 marzo con l’ambizioso proposito di sostenere il rilancio dell’economia italiana, ha invece deciso di puntare proprio sulla costruzione del Ponte sul Ponte sullo Stretto. Decisione concretizzatasi nello stanziamento di 1,3 miliardi di euro (circa il 20% del costo previsto dell’opera) da parte del Cipe, per dare il via all’inizio dei cantieri. La scelta di destinare cospicue risorse finanziarie nella realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina non può mancare di destare tutta una serie di perplessità. Si tratta di una grande opera il cui costo previsto risulta elevatissimo, 6,1 miliardi di euro nelle previsioni - destinati come minimo a raddoppiare durante la realizzazione come sempre avviene in questi casi - che peseranno sulle spalle dei contribuenti incrementando il peso del debito pubblico, senza che esistano serie prospettive di ritorno dell’investimento. I lavori di costruzione, destinati a protrarsi per almeno 10 anni, determineranno impatti ambientali e sociali di grossa rilevanza a fronte di ricadute assai modeste in termini di utilità dell’opera. Una volta ultimato, il Ponte somiglierà ad una vera e propria cattedrale nel deserto costituito da due regioni (Sicilia e Calabria) le cui infrastrutture stradali e ferroviarie versano in uno stato disastroso. Basti pensare che in entrambe le regioni oltre la metà delle linee ferroviarie non sono ancora elettrificate e la maggior parte delle tratte (90% in Sicilia e 70% in Calabria) sono costituite da un binario unico. La concentrazione di tutte le risorse finanziarie per consentire la costruzione del Ponte, rischierà inoltre di prolungare a tempo indefinito questo gap infrastrutturale, rendendo in questo modo ancora più stridente il contrasto fra una costosissima mega opera faraonica e il contesto di assoluta arretratezza del sistema dei trasporti che la circonda, mettendone ancora più in evidenza il carattere di scarsa utilità. In ultima analisi occorre inoltre sottolineare come il Ponte dovrebbe sorgere su un’area ad elevatissimo rischio sismico, scarsamente adatta ad ospitare un’infrastruttura di questo genere. Anche con l’ausilio di molta fantasia risulta difficile immaginare come i miliardi investiti nel Ponte (1,3 miliardi di euro), nel TAV Tortona – Genova meglio conosciuto come Terzo Valico e Milano – Verona (2,7 miliardi di euro) e nel MOSE (800 milioni di euro) possano contribuire a risollevare il nostro paese dalla crisi economica. Al contrario l’apertura di cantieri per grandi opere che negli anni peseranno sul bilancio pubblico per decine di miliardi di euro, rischia di precipitare ancora più in basso le nostre già disastrate finanze.

lunedì 9 marzo 2009

Politici andate a casa

Lo slogan, già usato per la crisi Argentina, riecheggia ora nelle piazze di mezzo mondo. Perché al crollo provocato dal libero mercato i governi oppongono le stesse ricette colpendo i più deboli.
Ma saranno spazzati via a breve. L'atto di accusa della scrittrice canadese Naomi Klein.
Scontri in piazza a Reykjavik
La folla che in Islanda ha sbattuto pentole e tegami, fino a provocare la caduta del governo contestato, mi ha fatto tornare alla mente lo slogan in voga nei circoli anticapitalistici nel 2002: 'Voi siete l'Enron. Noi siamo l'Argentina'. Il messaggio era molto semplice: voi, politici e amministratori delegati riuniti in qualche summit economico, siete come quei dirigenti sconsiderati e truffaldini della Enron (e naturalmente non conoscevamo che la punta dell'iceberg). Noi, ovvero la plebaglia lì fuori, siamo come il popolo argentino che, nel bel mezzo di una crisi economica spaventosamente simile alla nostra, scese in piazza sbattendo pentole e tegami.Gridando 'Que se vayan todos' (devono andare via tutti) costrinsero alle dimissioni quattro presidenti, uno dopo l'altro, in tre settimane.
La rivolta in Argentina nel 2001-2002 è stata unica perché non mirava a un particolare partito politico o alla corruzione in generale. L'obiettivo era il modello economico dominante. È stata infatti la prima rivolta nazionale contro il moderno capitalismo deregolamentato.
È servito un po' di tempo, ma dall'Islanda alla Lettonia, dalla Corea del Sud alla Grecia, alla fine anche per il resto del mondo è arrivato il momento del 'Que se vayan todos'.
Le stoiche matriarche islandesi che battevano le loro pentole, con i figli che saccheggiavano il frigo in cerca di proiettili (va bene le uova, ma lo yogurt?) richiamano alla mente le tattiche divenute famose a Buenos Aires. Ma anche la rabbia collettiva verso chi deteneva il potere, portando alla rovina un Paese un tempo florido pensando di poterla fare franca.
Gudrun Jonsdottir, una trentaseienne impiegata islandese, ha sintetizzato così: "Ne ho abbastanza di tutto quanto. Non ho fiducia nel governo, non ho fiducia nelle banche, non ho fiducia nei partiti politici e neanche nel Fondo monetario internazionale. Avevamo un Paese forte e loro lo hanno rovinato". Ecco un altro richiamo alla situazione argentina: a Reykjavik i manifestanti ovviamente non si accontentano di un volto nuovo posto al vertice (anche se il neo primo ministro è una donna omosessuale). Vogliono aiuti per la popolazione, non solo per le banche, indagini sulle responsabilità del collasso e una profonda riforma elettorale.Richieste simili le sentiamo in questi giorni anche in Lettonia, dove l'economia ha subito una contrazione più forte che negli altri paesi europei e dove il governo vacilla pericolosamente. Per diverse settimane le proteste hanno messo in subbuglio la capitale, e il 13 gennaio si sono verificati anche tafferugli e lanci di pietre.
Come in Islanda, anche i lettoni sono sconcertati di fronte al rifiuto dei governanti di assumersi le responsabilità del disastro. Alla domanda dell'emittente televisiva Bloomberg su quali fossero le cause della crisi, il ministro dell'Economia lettone ha risposto: "Nulla di particolare".I problemi della Lettonia invece sono davvero 'particolari'. Le stesse politiche che nel 2006 avevano consentito alla 'Tigre del Baltico' di crescere del 12 per cento, sono anche la causa della violenta contrazione di quest'anno, che secondo le previsioni dovrebbe arrivare al 10 per cento. Quando il denaro è liberato da qualsiasi vincolo, defluisce con la stessa rapidità con cui affluisce, considerando anche che una buona quantità finisce nelle tasche dei politici. (Non è una coincidenza che molti dei casi disperati di oggi siano i 'miracoli' di ieri: Irlanda, Estonia, Islanda e Lettonia).
Ma c'è qualche altra cosa di 'argentino' nell'aria. Nel 2001 in Argentina i leader risposero alla crisi con un pacchetto all'insegna dell'austerity, sollecitato dal Fondo monetario internazionale: 9 miliardi di dollari furono tagliati alla spesa pubblica, in particolare alla sanità e all'istruzione. Questo si è dimostrato un errore fatale.
I sindacati organizzarono uno sciopero generale, gli insegnanti portarono le loro classi nelle piazze e le rivolte sembrarono non aver fine.
Il medesimo rifiuto popolare a sopportare il peso maggiore della crisi accomuna le proteste attuali. In Lettonia, gran parte della rabbia dei cittadini è provocata dalle misure di austerity prese dal governo - licenziamenti in massa, servizi assistenziali ridotti, stipendi dei dipendenti pubblici diminuiti - e tutto per poter accedere al prestito d'emergenza del Fmi (no, non è cambiato nulla). In Grecia i tafferugli di dicembre sono seguiti all'uccisione da parte della polizia di un ragazzo quindicenne.

Decreto legge contro la pirateria in incognito!

Decreto legge contro la pirateria in incognito!
dal blog http://alessios4.blogspot.com/ Non ci sono veramente parole per commentare quanto accaduto in questi giorni. Praticamente la disonorevole Gabriella Carlucci ha presentato un DDL a suo modo di vedere per contrastare la pedofilia quando in realtà è una legge per bloccare internet e la pirateria. Il mitico Mantellini ha scoperto (immagine in basso), facendo proprietà sul file .DOC nel file la Carlucci ha inserito nel suo blog che questa proposta di legge è stata scritta da Davide Rossi presidente di Univideo l'Unione Italiana Editoria Audiovisiva i quali vertici sono:
VICE PRESIDENTI
Gian Maria Donà
Twentieth Century Fox Home Entertainment
Fabrizio Ferrucci
Sony Pictures Home Entertainment
Luciana Migliavacca
Medusa Video
Egidio Pusateri
Paramount Home Entertainment Italy
CONSIGLIO DIRETTIVO
Jacopo Capanna
Eagle Pictures
Fabrizio Conti
Universal Pictures Italia
Gianluca Curti
Minerva Pictures Group
Lorenzo Ferrari
ArdiciniDolmen Home Video
Stephen James Foulser
Walt Disney Studios Home Entertainment
Marco Giraudi
De Agostini
Roberto Guerrazzi
General Video
Aldo Pozzoli
Pozzoli
Filippo Roviglioni
01 Distribution Rai Cinema
Stefano Scauri
Warner Bros Entertainment Italia
Insomma un' associazione nata anche con lo scopo di contrastare la pirateria su internet e questa legge scritta dal loro direttore serve sicuramente proprio a quello mentre la Carlucci giustifica queste restrizioni con la motivazione di tutelare i bambini! E' una cosa veramente incredibile! Vi informo che in questa proposta è anche presente il divieto di pubblicare qualsiasi contenuto sulla rete in forma anonima...siamo proprio alla frutta.Per approfondire visitate l'articolo di punto informatico (che è stato chiamato, vogliono chiudere la rete), inoltre scrivere qualche bel commentino nel blog della Carlucci (che non linko perchè non se lo merita) non farebbe sicuramente male.

domenica 8 marzo 2009

Roberto Scarpinato sulle intercettazioni.

Milano, Casa della Cultura, 23 febbraio 2009
Roberto Scarpinato, procuratore aggiunto presso la Procura antimafia di Palermo, parla della imminente riforma delle

sabato 7 marzo 2009

Lettera aperta al movimento No Ponte per la ripresa delle mobilitazioni

Lettera aperta al movimento No Ponte per la ripresa delle mobilitazioni
Da troppo tempo il movimento di opposizione al Ponte sullo Stretto sta affacciato alla finestra ad aspettare che siano gli eventi a dirgli se è necessario o no tornare in piazza. Questo atteggiamento attendista sta lentamente disarmando l’opposizione al Mostro, che rischia, nelle sue frange meno militanti e politicizzate, di cadere in preda alla rassegnazione. Il raffreddamento della lotta, provocato dall’atteggiamento ambiguo del governo Prodi, che non ha cancellato il progetto né ha chiuso la società Stretto di Messina, autentica macchina mangia soldi, ha finito per ridimensionare quel tanto che era stato faticosamente costruito. Se è vero che alcune dichiarazioni dei sostenitori del Ponte hanno il sapore degli annunci propagandistici, è anche vero che in questa fase storica la lobby dei pontisti non ha molti ostacoli sul suo cammino, essa è fortemente rappresentata dai governi Berlusconi e Lombardo ed ha sostenitori anche nella cosiddetta opposizione politica e sindacale. La recente interrogazione parlamentare di un gruppo di deputati siciliani del PD va in questo senso: essi infatti, si limitano a chiedere la “modifica” dell’opera nel senso di scelte “maggiormente affidabili” e “meno costose”. Il rifinanziamento da parte del Cipe della Società Stretto di Messina, rilancia l’intera questione. Andare a disquisire se l’opera sarà conclusa o rimarrà a metà, se sarà fattibile oppure incontrerà ostacoli tecnici insormontabili, in questa fase è deleterio. Una cosa è certa: la lobby del Ponte e delle grandi opere è pronta a partire e partirà; più ostacoli incontrerà sul suo cammino, più i tempi si dilateranno, più i cantieri dureranno e le spese lieviteranno. L’obiettivo primario di fare aprire la borsa dei conti pubblici sarà raggiunto, a prescindere dalla conclusione dell’avventura. Ma con conseguenze certe: il disastro ambientale nell’area dello Stretto, lo scempio urbanistico, il foraggiamento finanziario delle cosche delle due sponde, la militarizzazione dell’area, l’inquinamento di ogni ambito sociale, politico e culturale, attraverso pressioni, infiltrazioni, compravendite, per saldare un consenso che fino ad oggi non appare scontato. Tutto questo impone la ripresa di un dibattito nel movimento e fra tutti i settori che hanno lottato contro il Ponte, e l’indizione di forti mobilitazioni, caratterizzate dallo sforzo di esportare i motivi dell’opposizione al Mostro anche oltre l’area dello Stretto, più di quanto non lo si sia fatto fino ad ora, ed in maniera più determinata. La costruzione, o comunque l’inizio dei lavori del Ponte, saranno (sono già) sfruttati e venduti come occasione per rilanciare l’economia, rimettere in circolo denaro pubblico, creare posti di lavoro. Se non si è in grado di rispondere a queste argomentazioni false e strumentali, se non si è tra la gente a confutare la propaganda pontista, fortissima e attrezzatissima, noi perderemo ancora prima di avere combattuto. Questa battaglia è oggi più urgente che mai; essa può rappresentare la base di una vertenzialità meridionalista contro il potere centrale e contro il capitale, nelle sue varie sfaccettature (politico, economico, mafioso, religioso), per l’affermazione di idee, proposte, obiettivi basati sull’autodeterminazione e su un ritrovato protagonismo sociale e popolare incamminato sulla via dell’autogoverno. La FAS propone l’apertura di un dibattito che confluisca in una prima assemblea regionale di confronto e di azione, da tenere a Messina (o in altra località si decidesse), entro e non oltre il mese di marzo Federazione Anarchica Siciliana Enna, 1-2-2009