Un immagine dello stretto con o senza ponte
da /www.terranauta.it
Il governo ha deciso: riprende lo spreco di miliardi di euro che ancora una volta verrano gettati giù dal ponte sullo stretto. Una volta ultimato, se mai lo sarà, potremo osservare una vera e propria cattedrale nel deserto. Nel frattempo i 6 miliardi previsti sono destinati a raddoppiare. E il sud continua a restare privo di infrastruttire stradali e ferroviarie.
Come un chewing gum masticato per troppo tempo ed ormai privo di gusto, anche il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, sembrava potere ambire come unica destinazione al cestino della spazzatura.
Durante il biennio del Governo Prodi il controverso progetto del Ponte che fin dal momento del suo concepimento aveva finito per dividere anziché unire gli italiani, pareva infatti destinato definitivamente ad obliare nel novero delle opere ciclopiche che mai sarebbero state cantierizzate.
Il tutto dopo 40 anni di chiacchiere e ipotesi assai fantasiose, costate al contribuente italiano oltre 160 milioni di euro, sotto forma di consulenze e stipendi dispensati a pioggia.
Il governo Berlusconi, nell’ambito del pacchetto di finanziamento del valore di quasi 18 miliardi di euro dedicato alle grandi infrastrutture e varato lo scorso 6 marzo con l’ambizioso proposito di sostenere il rilancio dell’economia italiana, ha invece deciso di puntare proprio sulla costruzione del Ponte sul Ponte sullo Stretto.
Decisione concretizzatasi nello stanziamento di 1,3 miliardi di euro (circa il 20% del costo previsto dell’opera) da parte del Cipe, per dare il via all’inizio dei cantieri.
La scelta di destinare cospicue risorse finanziarie nella realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina non può mancare di destare tutta una serie di perplessità.
Si tratta di una grande opera il cui costo previsto risulta elevatissimo, 6,1 miliardi di euro nelle previsioni - destinati come minimo a raddoppiare durante la realizzazione come sempre avviene in questi casi - che peseranno sulle spalle dei contribuenti incrementando il peso del debito pubblico, senza che esistano serie prospettive di ritorno dell’investimento.
I lavori di costruzione, destinati a protrarsi per almeno 10 anni, determineranno impatti ambientali e sociali di grossa rilevanza a fronte di ricadute assai modeste in termini di utilità dell’opera.
Una volta ultimato, il Ponte somiglierà ad una vera e propria cattedrale nel deserto costituito da due regioni (Sicilia e Calabria) le cui infrastrutture stradali e ferroviarie versano in uno stato disastroso. Basti pensare che in entrambe le regioni oltre la metà delle linee ferroviarie non sono ancora elettrificate e la maggior parte delle tratte (90% in Sicilia e 70% in Calabria) sono costituite da un binario unico.
La concentrazione di tutte le risorse finanziarie per consentire la costruzione del Ponte, rischierà inoltre di prolungare a tempo indefinito questo gap infrastrutturale, rendendo in questo modo ancora più stridente il contrasto fra una costosissima mega opera faraonica e il contesto di assoluta arretratezza del sistema dei trasporti che la circonda, mettendone ancora più in evidenza il carattere di scarsa utilità.
In ultima analisi occorre inoltre sottolineare come il Ponte dovrebbe sorgere su un’area ad elevatissimo rischio sismico, scarsamente adatta ad ospitare un’infrastruttura di questo genere.
Anche con l’ausilio di molta fantasia risulta difficile immaginare come i miliardi investiti nel Ponte (1,3 miliardi di euro), nel TAV Tortona – Genova meglio conosciuto come Terzo Valico e Milano – Verona (2,7 miliardi di euro) e nel MOSE (800 milioni di euro) possano contribuire a risollevare il nostro paese dalla crisi economica.
Al contrario l’apertura di cantieri per grandi opere che negli anni peseranno sul bilancio pubblico per decine di miliardi di euro, rischia di precipitare ancora più in basso le nostre già disastrate finanze.
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