Di Angelo Maria Perrino
E alla fine, alle 5 del mattino di mercoledì 5 novembre, il miracolo, l’evento impossibile, il sogno di Martin Luther King, si è avverato. L’afro-americano Barack Obama, il mulatto alto e serafico, unico senatore non bianco, è diventato il presidente degli Stati Uniti. L’America impaurita e ripiegata su se stessa ha scelto la discontinuità e il cambiamento. E ha affidato il suo destino alle mani politicamente inesperte di questo affabile ma assai determinato avvocato 47 enne che si muove come una rockstar, rompe gli schemi e rifiuta le ideologie, indossa i jeans e gioca a basket, è equilibrato, calmo e vicino alla gente, ha idee chiare e forti, un forte carisma comunicativo, un fascino contagioso. Vince, Obama, il politico della new economy, mostrando una marcia in più rispetto al vecchio, impulsivo ed emotivo, noioso e prevedibile continuatore di George W. Bush John McCain e alla sua impresentabile, pittoresca vice Sarah Palin.
Barak Obama con il suo riformismo, nel quale convivono tradizione e rinnovamento, sfonda al centro travolgendo le tradizionali categorie di destra e sinistra. Conquista la Casa Bianca e porta i democratici al successo pieno in entrambe le Camere al Congresso. Acquisisce così, per la prima volta dal 1994, il controllo sia del ramo legislativo che del ramo esecutivo, con la possibilità, dopo anni di immobilismo, di metter mano, con efficacia e rapidità, alle molte iniziative legislative annunciate.
Attento al mercato come mai a sinistra, ma convinto sostenitore delle tutele sociali, cosmopolita ma patriota, sensibile ai diritti umani e civili ma favorevole alla pena di morte, Obama è pronto a riportare l’America al ruolo di superpotenza, ma in una logica e con un metodo collaborativo, gradualistico e multipolare.
Avrà un’agenda ardua da gestire, in cui la priorità sarà la crisi economica e finanziaria, che è anche crisi di fiducia, calo dei consumi, rallentamento della produzione industriale, spettro della disoccupazione. Sono i terreni sui quali ha vinto la sfida con i conservatori, con la sua ricetta fatta di energie rinnovabili, più soldi e tutele ai poveri, più tasse ai ricchi. Un new deal basato sul principio roosveltiano che bisogna aver paura solo della paura. Un pensiero e un programma di nuovo conio che ora, finiti i tatticismi, gli slogan e i genericismi della campagna elettorale, metterà alla prova l’autenticità e la forza del suo messaggio e della sua reale capacità di governare e produrre il cambiamento annunciato e auspicato dal popolo americano.
Lo aiuterà quella audacia della speranza (che è il titolo del suo secondo libro, uno straordinario e imperdibile manifesto politico) il suo bagaglio multietnico, la sua sensibilità e responsabilità sociale, l’impegno nel volontariato, la sua freschezza, la sua capacità di fare politica nell’era della vita liquida, del nomadismo, e della globalizzazione, di Internet e di Facebook, di YouTube, Google e Wikipedia.
Ora che la sua avventura ha raggiunto il traguardo si può star certi: la politica americana non sarà più la stessa. Ma il mondo, tutto il mondo, non sarà più lo stesso.
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